In Italia il terribile conto dei morti ha raggiunto e superato il numero di 100.000. A questi bisogna aggiungere coloro che sono deceduti senza essere mai stati raggiunti da una diagnosi. Sappiamo da Aprile dello scorso anno che non sono stati pochi.
Ma ci sono cifre che diventano esse stesse un simbolo. E 100.000 è il simbolo di una tragedia mai vista dai tempi delle guerre mondiali, in Italia e nella nostra regione, come in tutto il mondo.
Ma i numeri sono persone, dietro ad ogni unità di quel totale c’è una vita spezzata, nella sofferenza e nella solitudine degli ultimi giorni.
Tutti le nostre famiglie hanno perso un parente, spesso vicinissimo, fondamentale nella nostra vita, oppure un amico, un conoscente. E in questi giorni le nuove ondate ci assediano, da vicino. Ci arrendiamo alla paura oppure cerchiamo ragioni e motivi , i più assurdi, per dire che non è vero niente, che il pericolo non esiste.
Ci vuole, invece, lo sappiamo, attenzione, prudenza, quasi il calcolo di ogni nostra mossa per aumentare le possibilità di farcela, di passare questa lunga notte, fino alla vaccinazione di tutti. E poi ci vorrà ancora attenzione. Ho scritto poco in questi mesi della Covid, perché sentivo che nelle troppe parole, nel valzer delle teorie c’era il pericolo
di aumentare la confusione e gli errori, quelli di tutti noi, nella vita quotidiana e quelli della “grande” politica, delle scelte sanitarie e sociali.
Ho visto e letto troppo ottimismo persino più del troppo generico allarme, ho visto e letto i colpevoli proclami contro la medicina, i vaccini, persino i malati. Oggi pensiamo ai nostri morti e da oggi non perdiamo più, mai più, per quanto ci è umanamente possibile, la calma attenzione necessaria per proteggerci e per proteggere gli altri. Ogni giorno ci avvicina alla sconfitta della pandemia, anche se cresce, anche se il suo vento sembra inarrestabile.