Le valli dell’Himalaya sono una vera e propria “fabbrica” di aria per la nostra vita.
Lo ribadiscono gli studi di una equipe internazionale della quale fa parte il professore modenese Alessandro Bigi.
Associato di Ingegneria Sanitaria e Ambientale all’Università di Modena e Reggio, si occupa di studi ambientali legati all’atmosfera e al clima, e per questo ha ottenuto numerosi riconoscimenti. In particolare per ricerche sull’aerosol che dalle vette delle montagne più alte del mondo va a comporre la qualità dell’aria del pianeta.
La “fabbrica Himalayana di aerosol” infatti influenza il clima ed oggi capiamo meglio come funziona..
In una lontanissima valle dell’Himalaya Bigi e gli altri scienziati hanno potuto accertare per la prima volta che la frequente formazione di numerose nuove particelle atmosferiche è dovuta a gas emessi dalla vegetazione a quote più basse.
Un processo che avviene anche in altre valli della catena.
Lo studio vuole contribuire alla comprensione dei cambiamenti climatici basandosi su una conoscenza maggiore delle condizioni atmosferiche precedenti il grande processo di industrializzazione iniziato nell’800.
Per questo Bigi e i suoi colleghi operano in un luogo incontaminato, dove l’influenza umana è ridotta al minimo.

E alla Piramide dell’Osservatorio Climatico del Nepal, situata in prossimità del campo base dell’Everest a 5050 m. sul livello del mare, il gruppo ha terminato uno studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Geoscience dal titolo ‘’Le particelle di origine naturale formatesi sull’Himalaya sono un’importante fonte dell’aerosol presente in troposfera libera’’.
Qui sono stati in grado di studiare la formazione del particolato atmosferico a grande distanza dalle attività umane.
“La formazione di nuove particelle è un fenomeno abbastanza comune, ma il suo processo è ancora in parte inspiegato. Per la prima volta siamo riusciti a provare che con molta probabilità in questa valle i gas che danno origine a nuove e numerose particelle sono composti organici emessi dalla vegetazione a quote più basse – spiega il Professor Bigi -. Queste sono poi trasportate in troposfera libera, una regione dell’atmosfera con pochissima influenza antropica diretta”.
Le particelle appena formate hanno un’origine naturale con poche evidenze di coinvolgimento di inquinanti antropici. Questo processo è quindi probabilmente immutato dal periodo pre-industriale.
Le particelle giunte in alta atmosfera, possono influenzare il clima agendo come nuclei per la condensazione delle nubi.

Queste scoperte sono importanti e la loro inclusione in modelli climatici può migliorare la comprensione del clima passato e la previsione del clima futuro.
Lo studio descrive, dunque, la catena Himalayana come una fonte che continuamente produce una grande quantità di particelle, inviate direttamente nell’atmosfera sopra l’Everest.

Il contributo modenese viene dal gruppo di ricercatori e ricercatrici raccolti attorno al laboratorio LARMA (www.larma.unimore.it), impegnato da tempo su tematiche ambientali. In sintesi anche l’aria che respiriamo, assediata dal disastro dello sfruttamento ambientale, si salva se salviamo le grandi madri, le montagne più alte del mondo.
La ricerca dalla e nell’ Emilia-Romagna è impegnatissima sull’aria. In collaborazione con la Lombardia, Arpae ha compiuto un vasto studio che segnala come non siano dirette le connessioni fra diffusione del Covid e presenza di particolato nell’aria. Questo naturalmente non significa affatto negare i rapporti fra degrado ambientale e pandemie ma contribuirà ad orientare meglio lo studio reale su questo problema enorme.
Infine ricordo la grandissima importanza della presenza, che si sta realizzando a Bologna, del Centro Europeo del Clima e del suo grandioso apparato informatico.