LEONARDO SCIASCIA è nato 100 anni anni fa a Racalmuto, Un ‘’paese davvero straordinario’’ come lo definì lo scrittore. In provincia di Agrigento, era uno dei luoghi di quella Sicilia profonda, dove, nell’immobilismo apparente, stritolato dall’illegalità e dalla mafia, si esprimevano però talenti di una finezza eccezionale. Sono stati scrittori e filosofi assieme, capaci non solo di descrivere il proprio luogo natale e la sua gente, ma l’intera natura umana, con quel realismo che è possibile solo a chi alla voglia di giustizia unisce un profondo disincanto.
Nelle sue opere rimaste esemplari la testimonianza limpida contro la mafia tradiva però un fastidio per ogni retorica, per ogni ipocrisia. Questa avversione profonda per ogni verità di comodo lo portò a scrivere il famoso saggio sul caso Moro, critico senza mezze misure verso le scelte di rifiuto della trattativa. Accusò chi sostenne la fermezza, di non avere impedito la condanna del presidente della DC. Questa vicenda, che sentì profondamente, lo portò ad allontanarsi dall’area del PCI, consueta dagli anni ‘50 per quasi tutti i principali intellettuali italiani, verso l’opposizione dei Radicali .
La sua critica ai protagonisti dell’antimafia si iscrive in questo percorso di allontanamento da ogni facile speranza di cambiamento, intesa come paravento per nuovi poteri, fino a cedere forse al velo del conservatorismo verso ciò da cui si è provenuti.
Viene in mente la sfiducia del Gattopardo.
In questo percorso di Sciascia c’è, inoltre, più di una somiglianza con quello di Pasolini, pur nelle enormi differenze di stile, interessi ed esperienze. Anche Sciascia, schivo e alieno dal farsi definire, ha visto il mondo, come Pasolini con la sua incommensurabile vitalità.
Lo ha visto nei caratteri delle persone, nel saperli leggere e raccontare come pochi altri in tutta la letteratura dell’epoca che ha vissuto.